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Sergio Longhi: ‘Mio padre e mio zio, pulcini di Vienna’ (prima parte)
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di Giorgio Bicocchi

pulcini viennaL’ultimo della nidiata ad andarsene fu Alessandro Capponi, cinque anni fa. Sfogli la storia della Lazio e l’avventura dei pulcini di Vienna e’ evento che non può non affascinare. Per le modalità, i resoconti di un pallone antico, quelle maglie celesti – con un pulcino d’oro ricamato sul cuore – indossate con baldanza dai nostri ragazzi.

Invitati nel tempio (allora) del calcio mittleuropeo.
Giubilo Giovanardi Palombini Di Santo Corbelli Palma A.Mancini A.Longhi Vettraino O.Longhi: ogni laziale che si rispetti dovrebbe ripetere quest’undici come una litania. Eccoli, i pulcini di Vienna, l’orgoglio della Lazio prima della Grande Guerra. Ragazzini talentuosi che incantarono il commissario tecnico della nazionale austriaca, Meisl, venuto, un giorno di maggio, al campo della Rondinella per salutare il suo connazionale Sturmer, all’epoca allenatore della Lazio. Scambi di prima, scatti, lanci, pallone da un fronte all’altro. Il festival della tecnica pura: impossibile non restarne ammaliati. L’invito parti’ una volta che Meisl ebbe fatto ritorno a Vienna. I pulcini Laziali, al Prater di Vienna, avrebbero così affrontato, l’11 giugno 1933, i pari grado del Wacker, prima della partita internazionale Austria-Belgio. Un vanto – quello di essere invitata a Vienna – che la Lazio custodi’ con orgoglio. Quella gara fini’ uno a uno, con la Lazio che passo’ in vantaggio, ripresa nella seconda frazione dagli austriaci.
Sergio Longhi, per il Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento, ha riaperto l’album dei ricordi. Lui, il figlio di Otello, il nipote di Armando, ebbe la fortuna di ascoltare direttamente dalla voce degli avi, oppure con il conforto di foto e di articoli dei giornali dell’epoca, quella magica avventura. Il senso di quella squadra, il viaggio in treno per Vienna, i rapporti tra Otello e Armando, la loro carriera futura: c’e’ tutto nella sua ricostruzione. Riavvolgiamo allora i suoi virgolettati, ecco la storia dei pulcini di Vienna.
Lungotevere Flaminio, provenivano tutti da li’ – ‘Fu una bellissima storia di amicizia, quella dei pulcini. Amici in campo, tutti per uno, uno per tutti. Si allenavano due volte alla settimana su uno dei campi della Rondinella. E poi tornavano a casa tutti assieme, ripensando ad un gol fallito o magari ad una azione non concretizzata. Trascinandosi le borse da gioco. Gran parte di quella formazione, infatti, ad esclusione di Giubilo, abitava nella case popolari di Lungotevere Flaminio, poco prima di Piazza Melozzo da Forlì. Giocavano, correvano, allenandosi pure sulla terrazza di quei palazzi. E papà mi diceva sempre che, quando la palla rotolava giù’ per le scale o, peggio ancora, finiva in strada, era lui, il più piccolo del gruppo, a doverla rincorrere e riprendere. Riportandola poi in terrazza’.
Il viaggio per Vienna – ‘Tutta la squadra aveva un debole per Ezio Sclavi, il capitano della prima squadra. Il grande portiere, uomo di straordinario coraggio. Per molti di loro era una sorta di fratello maggiore. Gli avevano appiccicato un soprannome, mi raccontava sempre papà: Carnera, come il pugile che varco’ l’Oceano in cerca di fortuna, combattendo e riportando in Italia la corona mondiale. Per loro era un vincente. Un campione. Nessuna sorpresa, allora, quando, assieme al Generale Vaccaro, Sclavi accompagno’ i pulcini alla stazione Termini, in partenza per Vienna. Sclavi e molti altri giocatori della Lazio di allora diedero coraggio ai ragazzi, dandogli appuntamento per il ritorno. Quel viaggio, complessivamente, sarebbe durato cinque giorni. Arrivarono a Vienna dopo oltre ventiquattro ore trascorse in carrozza. Papà Otello mi racconto’ come l’organizzazione austriaca fosse eccellente. Vennero accolti come fossero piccoli principi, con mille premure. Alloggiarono in un albergo pieno di luci. Fu un viaggio emozionante, non solo per la partita disputata al Prater, uno degli stadi più belli d’Europa. Papà mi disse che la squadra e gli accompagnatori vissero ore spensierate nella cena ufficiale, andata in scena in uno dei ristoranti più rinomati della capitale’ (questa e’ una delle foto che il Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento pubblica a corredo di questa romantica storia, ndr.).
Papà e zio Armando – ‘Nella nostra famiglia, negli anni Venti, c’erano cinque fratelli. Quattro di essi, tra cui zio Armando, partirono per la guerra d’Africa. Si, la stessa a cui partecipo’, come fante del deserto, Fausto Coppi, un altro tesserato della Lazio. Era consuetudine allora che il fratello più piccolo, se gli altri erano partiti per il fronte, potesse restare a casa. E così accadde per papà Otello: fu mio nonno a recarsi personalmente al Ministero della Difesa per ottenere che rimanesse a Roma. E così avvenne.
Come erano papà e zio Armando in campo? Grandi giocatori, giocatori tecnici. Pieni di lampi di classe. Intuizioni. A chi poteva assomigliare papà come tipologia di giocatore? Ad Hamrin, mi diceva sempre. Zio Armando, però, era più forte. A chi potevamo paragonarlo? A fenomeni come Careca e Giordano. Mi ricordo che una volta li accompagnai ad una gara per vecchie glorie, in Campania. Avevano quasi sessanta anni ma effettuavano lanci di cinquanta metri, mettendo la palla sui piedi dei compagni. Mi accorsi allora di quanto avrebbero potuto incidere se la loro carriera avesse preso una piega diversa. La fortuna, lo sapete, incide, eccome, nel futuro di ognuno. Papà subì invece un infortunio al menisco in una partita del 1939. Una fesseria, se fosse accaduto ai giorni d’oggi. Allora, pero’, per un problema del genere, uno rischiava di finire la carriera. Fu così che, ceduto dalla Lazio, si ritrovo’ in provincia. Zio Armando, invece, torno’ debilitato dalla guerra in Africa, accontentandosi di giocare tanti anni in serie minori, a Marsala, incidendo parecchio, come il recente libro del giornalista Salvatore Lo Presti, ‘Azzurro come Marsala’ ha raccontato con dovizia di particolari.
Papà gioco’ diversi anni a Nocera Inferiore. Il destino gli fece conoscere mia madre: fu, dunque, una esperienza che segno’ la sua vita. E una volta – era la fine degli anni Quaranta – papà e zio Armando disputarono, uno contro l’altro, persino un Nocerina-Marsala, gara di un campionato di serie C. Caratterialmente erano molto diversi: papà era un introverso, di poche parole. Zio Armando era un tipo estroso, imprevedibile. Di tutt’altra pasta, rispetto al fratello. Papà, alla fine della carriera, dopo aver lavorato tanti anni nell’accoglienza dei campi profughi, divenne un funzionario della FAO’. (continua)

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