“Viva Uber”
Proprio così, senza girarci attorno, come se fosse una scritta composta sopra un muro. Uber Gradella compie 90 anni, simbolo di una Lazialità bella, romantica e struggente.
E’ bastato scorrere decine di foto, accludendovi gli articoli di giornali dell’epoca, sommando i ricordi sbiaditi di chi c’era e di chi ebbe la fortuna di vederlo parare.
Viva Uber, allora, per questo compleanno che premia l’attuale decano tra i giocatori della Lazio.
Numero uno essenziale, con un innato senso del piazzamento. Aggiungete i comportamenti, lo stile sobrio, la gentilezza d’animo: cromosomi laziali, insomma. Palpiti del cuore che i bambini di allora – oggi ultrasessantenni – potrebbero confermare. Erano soliti avvicinarsi a Uber all’uscita della trattoria del Centro dove i giocatori della Lazio si radunavano, la domenica mattina, prima di dirigersi verso Piazzale Flaminio, salendo sul tram, andando a giocare, le borse adagiate sulle spalle. Immagini in bianco e nero, che emozionano ed emozioneranno ancora chissà quanti giovani laziali.
Una fila di ragazzi perbene: la sagoma di Piola, il ciuffo di Flamini, il sorriso di Lombardini, l’eleganza di Gradella. Guidati da un signore dal cuore buono come Zenobi. In quegli anni, la sede di via Frattina era una sorta di scrigno e di rifugio dove, dal tramonto in avanti, confluivano giocatori, dirigenti, tifosi, giornalisti. Roma era più bella, la Lazio vicinissima alla propria gente, con cui divideva umori e sensazioni. Uber era così, affabile, disponibile. Senza mai apparire un privilegiato. Parole misurate e tanti sorrisi: gli stessi con cui, negli anni successivi, avrebbe accolto i clienti che varcavano la soglia del suo negozio. La Lazio, per lui, mantovano di nascita, classe ’21, fu una favola. Fantastica, irripetibile ma poi brutale per quell’infortunio doloroso che gli precluse la carriera, prima, il futuro laziale, poi.
Uber era piombato a Roma da Verona: aveva diciotto anni ed era stato appena eletto miglior portiere della serie B. Erano gli anni Quaranta, Gradella si prese la porta lasciando a Piola, in attacco, il compito di incantare. Dieci anni da portiere della Lazio, reciteranno gli almanacchi.
Fino a quel pomeriggio del febbraio del ’49 quando, a Bergamo, al termine di una mischia paurosa in area, un mucchio di giocatori gli frano’ sulle gambe. La diagnosi, negli spogliatoi, sarebbe stata terribile: un ginocchio praticamente in frantumi. C’erano pero’ un paio di minuti ancora da giocare e non perdere a Bergamo, per quella Lazio di allora, povera ma orgogliosa, era risultato vitale. Uber non mollo’, restando in campo, mentre sentiva le gambe cigolare e il terreno quasi franargli attorno. Il ginocchio girato, il dolore che cresceva, fino a diventare insopportabile. Il senso dell’appartenenza, un ideale da difendere, anche a costo della propria incolumità. Fu a Bergamo che Gradella ipoteco’ la storia, entrando di diritto nell’immaginario popolare, scacciando l’oblio, quello che spesso, terminata la carriera, avvolge la vita di un giocatore.La rieducazione fu lenta, tormentata: fu forse per questo che la Lazio scelse di consegnare la porta a Sentimenti IV, sebbene Uber fosse ormai in rampa di lancio, guarito e di nuovo felice. Ricevette la lista gratuita, la possibilità ovvero di accasarsi liberamente altrove. Uber non ci dovette pensare neanche un po’: Roma, la Lazio, gli avevano regalato fama, un po’ di soldi, la vetrina, il successo. Non avrebbe avuto molto senso, a ventotto anni, ricominciare altrove. O meglio, non avrebbe avuto la stessa valenza.
Uber imito’ il gesto romantico di Ezio Sclavi, un altro portiere, un altro formidabile romantico che preferì smettere – senza legarsi ad altri colori – piuttosto che lasciare la Lazio. Una bandiera da preservare: la Lazio, il suo mondo, quelle maglie laziali gli erano talmente entrate nelle vene che Gradella decise di passare gran parte della sua vita gestendo un negozio di articoli sportivi a Piazza Mancini, ad un sospiro dal campo (il Flaminio) e nel cuore del quartiere di Roma in cui, piu’ degli altri, pulsa la passione verso la Lazio.
Nessuno, in fondo, puo’ pensare di chiudere il cerchio della propria vita.
La Festa
Camicia celeste e golf bianco: ha sposato i colori del cuore, Uber Gradella, presentandosi,
accompagnato dal figlio Massimo, alla festa per il suo 90esimo compleanno. Un’idea partorita un mese e mezzo prima dal Centro Studi, nella canonica riunione del giovedi’. “Uber compie 90 anni: sarebbe bello festeggiarlo. Lo merita”. Il progetto che lievita, piace, prende forma.
Si sfogliano vecchie agende per recuperare i numeri di telefono dei portieri del Dopoguerra della Lazio: autograferanno la brochure – corredata da splendide foto – che il Centro Studi ha donato ad Uber ed alla sua famiglia. Una bella grafica, il volume è breve ma intenso. Lo sfogli, lo leggi, lo apprezzi e sembra quasi che la Lazialità si alimenti. Miti d’altri tempi. Storie di altre Lazio, romantiche ed irripetibili. Quattordici giugno 2011: alle sei del pomeriggio, dopo un temporale di mezza estate, Uber compare nella sala. Gli occhi lucidi, la voce finissima. L’abbraccio con Felice Pulici, con Ernesto Alicicco. Si siede, guarda gli astanti, quasi si commuove rivedendo le foto della propria gioventù, la maglia e il berretto da portiere, la sagoma dello stadio Flaminio e, dietro, le dolci colline dei Parioli. Due ore di feste, applausi, foto. Con, ovvio, tante storie di Lazio a corredo. Poi la torta, rigorosamente preparata da un pasticcere lazialissimo, Giolitti. Uber che ride, scherza, si diverte, ricordando aneddoti, parate, uscite basse o in presa alta. Lanciando poi un grido, “Forza Lazio”, che ancora adesso, ripensandoci, mette i brividi addosso. Un esempio di stile, eleganza, sobrietà. Una festa riuscita. Con Uber che dà appuntamento all’inizio del campionato, ansioso di rivedere – dal salotto di casa – le imprese della squadra che gli ha rapito il cuore.