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La mancata fusione del ’27? Quindici anni prima un altro tentativo…
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di Marco Petraglia

La Tribuna 10 aprile 1912Nella primavera del 1912, mentre l’Italia era ancora impegnata nella campagna di Libia, negli ambienti sportivi romani divampò un acceso dibattito sui valori e sulle prospettive del calcio capitolino. Alimentata dall’annunciato tour italiano dei prestigiosi English Wanderers, la discussione ruotava intorno alla possibilità di fondare una nuova società selezionando i migliori calciatori da quelle già esistenti.

La Squadra Romana, come venne ben presto rinominata, avrebbe dovuto fornire, scriveva il 6 aprile 1912 il quotidiano “La Tribuna”, “l’undici romano che verrà opposto a qualcuna delle maggiori squadre dell’Alta Italia”.
L’idea di una compagine in grado di competere col più evoluto football settentrionale riscosse un discreto successo, tanto da concretizzarsi nella formazione che il 9 giugno del 1912 si confrontò, al Campo dei Due Pini, con l’Andrea Doria battendolo per 3-1.
Il consenso sorto intorno al progetto di unificazione non fu, tuttavia, unanime e nel campo degli oppositori la voce più autorevole e decisa fu quella della Società Podistica Lazio.
“Tutte le squadre di Roma – riportava “La Tribuna” – avevano consentito a fornire pertanto i loro migliori giuocatori, tranne la Podistica Lazio la cui prima squadra, come è noto, è attualmente la più forte di Roma”. Il quotidiano, riportando la cronaca del primo incontro di selezione disputatosi al campo dei Due Pini tra i “probabili” e i“possibili”, sottolineò la netta opposizione dei bianco-celesti: “Il motivo del suo rifiuto è che la Lazio credendo che la squadra romana debba essere composta quasi totalmente dai giuocatori della S.P. Lazio non vuole disgustare i due o tre suoi soci che verrebbero sostituiti da elementi di altre squadre romane. Ciò anche perché crede che i sunnominati suoi soci pur essendo eventualmente inferiori di classe a coloro che potevano sostituirli, sono però superiori per affiatamento e coesione col resto della squadra. Quindi essa ritiene inutile, quando già esiste, formare una squadra romana”.
I malumori provocati dalla decisione presa dalla Lazio non tardarono ad emergere. L’ 8 aprile 1912 il giornale, divenuto ormai cassa di risonanza del dibattito in corso, pubblicava una lettera inviata alla redazione sportiva da Furio Meloni, uno dei più convinti fautori della “Squadra Romana”. I toni accesi e risentiti della missiva testimoniano quanto fosse sentito l’argomento e come lo scontro avesse definito due schieramenti contrapposti.
“Inutile dire – si leggeva – quanto tale gesto della vecchia Società romana sia risultato antipatico a tutti coloro che amano sinceramente lo sport, e quanto sia stato offensivo per la fama dei vari e valenti footballers sparsi in più di una Società”. La Lazio veniva accusata senza mezzi termini di essere stata spinta da “gretti sentimenti di campanilismo”; convinto che “una maggiore dimostrazione di boria non poteva darsi”, Furio Meloni deprecava nel suo sfogo “la meschinità di una Società, che pare abbia uno smisurato concetto di se stessa, e poco amore per la nostra città”.
La risposta della Lazio fu immediata e il 9 Aprile 1912, “con l’intenzione di mettere la questione nei veri termini”, Guido Levi, portiere e successivamente Segretario della Sezione sportiva, inviò una lettera (puntualmente allegata a corredo di questa ricostruzione) al giornale romano che la pubblicò all’indomani “per mancanza assoluta di spazio”.
Criticando la presunzione di Furio Meloni nel voler spiegare le ragioni del rifiuto, il socio laziale respingeva con fermezza le accuse di “boria” e di “campanilismo”. Fornendo la misura di quanto l’argomento avesse ormai innescato un’accesa polemica, Levi consigliava a Meloni di non prestare attenzione a quanto si vociferava tra gli sportivi della città . “Per l’amor di Dio, – scriveva – si calmi signor Furio! Non creda a quello che le dice qualche giornaletto, non creda a quello che le dicono i soci di altre società – che solo perché vedono la Lazio non curante di loro si divertono a schizzar veleno – e non creda, soprattutto che la Lazio sia tenuta a render conto delle sue azioni”.
Giungendo al nodo della questione il laziale proseguiva: “Il signor Meloni poi cita i nomi di sei footballers ottimi sotto tutti i rapporti ed aggiunge che altri ancora ve ne sono che avrebbero potuto rinforzare la squadra della Lazio e formare cosi un undici veramente degno di Roma. Troppo buono signor Furio! Secondo il suo ragionamento, dato che ad undici si arriva presto, i bianco-celesti avrebbero forse avuto in squadra un paio di posti a loro disposizione, e così….la Lazio…rinforzata avrebbe formato la squadra Romana!”.
Terminate le dovute precisazioni Guido Levi chiudeva la sua lettera ribadendo la netta volontà di opporsi al progetto e rivendicando l’autonomia e la libertà della sua società: “In quanto poi all’incontro con gli Inglesi Erranti, se essi verranno a Roma, non è lei che deve giudicare se la Lazio crederà o no opportuno di scendere in campo e difendere i colori di Roma……La Lazio, per sua norma, ha per ogni ramo di sport, una competente Commissione sportiva. A proposito, ha mai pensato lei alla competenza della Commissione chiamata a comporre la squadra Romana? No? Voglia aver la bontà di pensarci e poi…vedrà che non è la boria, non è lo spirito di campanile, che non è la mancanza d’affetto per la nostra Roma che ha fatto si che la Lazio si astenesse dal partecipare alla Squadra Romana, che lei stesso ha la bontà di riconoscere non essere forte come potrebbe…”.
Seppur breve e concisa tale documentazione possiede un importante e duplice valore storico. Non solo infatti le lettere pubblicate su “La Tribuna” restituiscono più dettagliatamente un episodio poco noto ma, al contempo, offrono una concreta testimonianza dell’importanza e del prestigio assunti nella città di Roma dalla Podistica Lazio nel suo primo decennio di attività.
L’eccellenza sportiva rappresentata dalla società bianco-celeste emerge chiaramente non tanto dalle parole di Levi che potrebbero apparire mosse da una cieca partigianeria, quanto dalle constatazioni espresse da “La Tribuna” nel sottolinearne i meriti: “la Podistica Lazio […] come è noto, è attualmente la più forte di Roma”.
Lo stesso rammarico di Furio Meloni era in realtà quello che la “Squadra Romana”, preso atto del deciso rifiuto laziale, avrebbe dovuto rinunciare ad una porzione importante dei migliori giocatori disponibili in quel momento, vedendo così in parte compromessa l’efficacia del progetto di unificazione.
Dalle motivazioni esposte da Guido Levi emergono, inoltre, alcuni dei tratti distintivi che porteranno la società ad opporsi nuovamente di fronte al successivo tentativo di fusione del 1927, di cui questo episodio può essere considerato un prodromo. “La Lazio – scriveva – fa lo sport per lo sport: non ha invidia di nessuna consorella, mentre tutte le altre consorelle hanno forse invidia di lei, ed è modesta al punto di….non voler dare i suoi uomini per la formazione della Squadra Romana perché…non li ritiene degni di tanto onore”.

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